Leonida Paterlini
Leonida Paterlini: Maestro di Musica, di Canto e di Vita
“…la vita corale, sia per la particolare sintonia che richiede sia per la composita quanto ricca socialità di cui è composta, non è per tutti. È per chi si sente attratto dalle cose dello spirito, per chi è incline all’interiorità, al bello, all’ordine, per chi non ha ambizioni di emergere. Non è per tutti; ma chi prova a vincere l’istintiva diffidenza verso la coralità, ben presto si renderà conto che le difficoltà sono solo apparenti, e riceverà in cambio molto più di quanto possa immaginare. Si pensi soltanto all’affascinante lavoro di preparazione: l’arido esercizio che, con dedizione e studio, si fa disciplina; e questa, sublimandosi in spiritualità partecipata, diventa arte! Perché è nella sfera dello spirito che quest’arte sublime dimora e di qui dispensa le proprie ineffabili gratificazioni a quanti la professano con dedizione. La coralità non è uno svago, è un modo di completarsi, un modo alto e proficuo di investire il tempo libero. Se poi quest’arte è anche sacra, allora diventa eccelsa, perché “…la musica sacra esprime la passione, canta la dolcezza e il gusto, la suavitas del mistero cristiano celebrato nella liturgia”; è quindi nella sua funzione più alta e trascendente.
È stata ed è questa la nostra costante sollecitudine lungo cinque lustri: eseguire in modo sempre più degno la grande musica concepita in questa forma mentis per il decoro della liturgia. Anche se a certe vette possono salire solo pochi eletti (e neppure a questi l’ascesa è sempre garantita) a noi, fra i più modesti dilettanti, sia concesso proseguire in meglio il cammino intrapreso, con umiltà ed entusiasmo. Con umiltà perché quest’arte grande, che non tollera facilonerie, non è un passatempo ma elevazione di vita; con entusiasmo, perché nell’esercizio corale non esistono afflizioni, malinconie o sconforti vari ma solo consonanza e letizia.”
—Leonida Paterlini, 1998
(in occasione del 25° anniversario di fondazione del Coro dei Ragazzi Cantori di San Giovanni)
Queste parole fotografano con semplice ma efficace immediatezza il grande animo del Maestro Leonida Paterlini, direttore, anima, trascinatore del Coro dei Ragazzi Cantori di San Giovanni (San Giovanni in Persiceto, Bologna) dal 1975 al 2005.
La sua vicenda umana e musicale si snoda attraverso due storie parallele; la prima:
Leonida Paterlini nasce a Fontana di Rubiera in provincia di Reggio Emilia il 21 Giugno 1928 da una modesta famiglia di artigiani. Il “respiro” della musica è da subito presente nella sua vita: il padre suona il clarinetto nella banda comunale e lo zio si diletta con il violino. Fin da bambino mostra subito una grande predisposizione oltre che per la musica, per il disegno e la pittura, due grandi espressioni d’arte che lo accompagneranno per tutta la vita. Sono tempi difficili, durante la guerra e poi nel primo dopoguerra, prende saltuarie lezioni di musica a Reggio Emilia, ma le difficili condizioni economiche fanno sì che i genitori non possano assecondare le sue inclinazioni artistiche; viene così iscritto ad una scuola tecnica ma continua gli studi musicali da autodidatta: organo, armonium, fisarmonica.
Personalità brillante e carismatica il giovane Paterlini si cimenta anche nel teatro, organizza delle commedie con il gruppo parrocchiale di Fontana, nelle quali è sia regista sia attore. Passata la bufera bellica, comincia a entrare nel mondo della coralità. Nel 1953 il parroco di Fontana lo invita a dirigere il coro parrocchiale e il Maestro si tuffa con entusiasmo in questo compito: sono i tempi delle messe di Perosi e dei suoi numerosi epigoni; continua parallelamente l’esercizio della pittura e si dimostra personalità versatile dai molteplici interessi. Prende pure un diploma da radiotecnico con un corso per corrispondenza.
Parallelamente lavora nella falegnameria di famiglia e talvolta abbandona il banco per andare nel suo piccolo studio e annotare un tema o un’idea musicale sorta all’improvviso. (e qui viene spontanea una sorta di reminiscenza con il famoso aneddoto su Vivaldi il quale, sacerdote, non esitava a interrompere la celebrazione della Messa per recarsi in sagrestia ad annotare i temi musicali formatisi all’orecchio in quell’istante).
Poi la prima grande svolta della sua vita: nel 1960, da poco sposato, vince un concorso nelle Ferrovie e si trasferisce a Bologna. Continua saltuariamente l’impegno con il coro di Fontana di Rubiera. Si diletta anche nella composizione, scrive inni e canzonette in occasioni di festeggiamenti in onore di varie persone e amici, arrangia personalmente le parti di accompagnamento delle messe di Perosi per adattarle ad un piccolo ensemble d’archi, suoi amici e colleghi di lavoro che raduna nelle grandi festività liturgiche. Mantiene comunque un grande ascendente sulla parrocchia di Fontana. Addirittura Il parroco, coadiuvato da altri parrocchiani, cercherà in tutti i modi di farlo trasferire, come sede di lavoro, da Bologna a Rubiera. Alla fine però il tentativo non riesce e Paterlini rimane a Bologna. Di conseguenza, a poco a poco, l’impegno a Fontana si riduce e Paterlini, all’inizio degli anni 70, dedica il suo tempo libero prevalentemente al disegno e alla pittura. Continua tuttavia a nutrire la sua cultura musicale: animato da una sfrenata curiosità, con passione insaziabile legge svariati trattati di armonia, composizione e storia della musica. Il Maestro è davvero stregato dalla musica… ascolta, ascolta musica di ogni genere, servendosi della filodiffusione il cui quinto canale è dedicato esclusivamente alla musica classica.
Fernando Rossi, persicetano, è ferroviere di professione, ma è anche suonatore di violino ed è uno degli strumentisti che Paterlini chiamava per le sue messe a Fontana; sono stati molto amici oltre che colleghi di lavoro.
Ecco come ricorda il giovane Paterlini ferroviere:
“Ci eravamo conosciuti al binario 15 della stazione di Bologna, attendendo la navetta che ci portava presso le officine dello scalo San Donato. Con Paterlini si parlava esclusivamente di musica, aveva una cultura eccezionale e anche nel lavoro era straordinario, aveva due mani d’oro e riusciva a fare qualsiasi cosa: infinite riparazioni e tutti i “ciappini” possibili immaginabili. Erano tempi duri, di forte contrapposizione ideologica e Paterlini, che non nascondeva certo il suo credo religioso era soprannominato da alcuni compagni di lavoro “il reverendo”. Ma sotto questa burbero appellativo,” continua Rossi, “c’era comunque un profondo rispetto alla persona e lui si faceva benvolere da tutti. Anche nel lavoro aveva modo di esprimere fantasiosamente la sua vena artistica: aveva dipinto su una colonna del capannone dei ritratti di ferrovieri, talmente verosimili che destavano lo stupore di chi ci passava davanti e riconosceva il tale…il talaltro…! Insomma davvero un artista in tutti i sensi!”
Dopo il periodo di lavoro a San Donato, Paterlini passa all’O.C.A. (Officina Carica Accumulatori), presso la stazione centrale; questo cambiamento di qualifica gli permetterà di cambiare il proprio orario di lavoro: “provvidenzialmente” con l’orario d’ufficio dalle 8 alle 14 si ritroverà con i pomeriggi liberi (e sappiamo bene come li impiegherà negli anni a venire…)
Apro una piccola parentesi: ogni tanto passo davanti a quello stanzone al Piazzale Ovest (oggi è tutto dismesso) e ricordo come la mitica O.C.A. diventò una meta per molti persicetani, cantori e non, che all’arrivo a Bologna passavano a salutare il Maestro. Lo si trovava dietro una scrivania e con viva cordialità il più delle volte si finiva a chiacchierare (di musica ovviamente) davanti ad un caffè presso il vicino bar. Altre volte non era in ufficio e chiedendo ai suoi colleghi arrivava la tipica risposta: “è in giro a cercare una batteria…”. Quante volte Maestro…
Ma torniamo alla nostra vicenda: qui si innesta quella che chiameremo la seconda storia parallela: a San Giovanni in Persiceto…
Persiceto è un grosso comune della provincia di Bologna e una delle più grandi ed importanti parrocchie della diocesi. Verso la metà degli anni ’60 il parroco di allora, Mons. Guido Franzoni, grande appassionato di musica, decide, non senza subire polemiche ed incomprensioni, di far costruire un nuovo grande organo dotato di tre tastiere e 50 registri perla Basilica Collegiata. In seguito raduna un gruppo di ragazzini che iniziano a studiare musica privatamente, sospinti dall’entusiasmo del saggio parroco. In molti si iscriveranno poi al Conservatorio e arriveranno al diploma di Organo (attualmente 4 di essi sono docenti in Conservatorio). La vita musicale della parrocchia si eleva decisamente, non così la vita corale. La “vecchia” schola della Basilica si scioglie all’inizio degli anni 70 e inizia un periodo di “terra di nessuno” con il progressivo avanzamento di gruppi giovanili e relativo repertorio “moderno”.
Nel 1971 fa il suo ingresso a Persiceto il nuovo parroco Don Enrico Sazzini. Sono gli anni immediatamente seguenti al Concilio Vaticano Secondo, la liturgia vive una profonda trasformazione ma il nuovo giovane parroco, profondo conoscitore dell’arte e appassionato della vera musica sacra, si rende conto che a San Giovanni, se gli organisti ci sono in abbondanza, dal punto di vista corale bisogna ricominciare da capo, ma in modo bello e degno, senza cedere alle effimere lusinghe del nuovo a tutti i costi. Decide perciò di ricostituire una vera Schola Cantorum e affida l’incarico al Maestro Giorgio Bredolo, organista e compositore che in quegli anni frequenta il Conservatorio a Bologna. Nel Gennaio 1973 nasce ufficialmente il coro dei Ragazzi Cantori, coro di voci bianche allora denominato “Sangerknaben”.
Il gruppo cresce rapidamente sia in numero ma soprattutto in qualità vocale; oltre alla messa domenicale arrivano i primi impegni, le trasferte, i concerti. L’entusiasmo è grande e il repertorio è costituito quasi esclusivamente da musica antica, Bach in particolare, ma anche polifonia classica, gregoriano ecc.
La svolta arriva nel 1975: il M° Bredolo, che ha già assunto una certa notorietà con questo coro di voci bianche, riceve un’importante offerta di lavoro a Milano e decide di trasferirsi. Sono momenti difficili, il rischio è quello di disperdere la preziosa esperienza e Don Enrico si rivolge ai suoi organisti, sperando di trovare qualcuno che si assuma l’impegno di sostituire il direttore uscente. Nessuno però si sente di accettare un tale compito e si entra in una situazione di stallo.
Ecco che le nostre storie parallele si incontrano e, come spesso avviene, tutto è all’insegna della casualità (ma noi preferiamo pensare alla Provvidenza che agisce per vie talvolta davvero inattese e sorprendenti)
Vengono fatte altre proposte, maestri di coro di paesi vicini ma… il nostro Fernando Rossi (l’abbiamo già incontrato, padre di due cantori del “Sangerknaben”), è convinto che Paterlini sia la persona giusta e insiste con Don Enrico… veramente deve insistere anche con lo stesso Maestro Paterlini, il quale non è assolutamente propenso ad accettare: negli ultimi anni si è dedicato più che altro alla pittura e al disegno e la musica ormai per lui è rimasta solo come un fatto di studio e approfondimento personale, la pratica corale già da alcuni anni è quasi abbandonata.
Ma la situazione a San Giovanni è molto critica, il coro rischia di disperdersi irrimediabilmente e l’amico insiste almeno per un’audizione senza alcun impegno. Paterlini cede e viene a San Giovanni dove 40 ragazzini diretti dai più “anziani” sono pronti e trepidanti nel fargli ascoltare alcuni canti e in particolare l’Exultate Justi di Viadana…
Era la sera di giovedì 27 Novembre 1975… La prova, pur con alcune inevitabili pecche, lo affascinò, restò suggestionato da quelle voci bianche e non riuscì a svincolarsi… Tuttavia non accettò subito l’incarico, anzi era molto titubante, i ragazzini erano impostati vocalmente molto bene, leggevano in chiavi antiche, il repertorio era impegnativo… Paterlini sentiva la propria preparazione musicale (quasi totalmente da autodidatta), molto inadeguata ed esitava. Ma fu fondamentale la fiducia incondizionata dimostratagli da Don Enrico: “Maestro, provi! Poi si vedrà…” una frase che ha fatto storia anche in tempi recenti…
Da quel momento si aprì una nuova fase nella vita del Maestro che si tuffò anima e corpo nello studio e nella preparazione musicale. Seguendo l’impostazione del suo predecessore, organizzò il coro in 5 prove settimanali a voci separate, tutti i pomeriggi escluso il mercoledì. Oggi sembra fantascienza ma trentacinque anni fa si andava a scuola solo al mattino, il parossismo delle attività ludico-sportive ancora non aveva attecchito e Paterlini sfruttò appieno tale opportunità.
Tuttavia non furono momenti facili, i ragazzini erano un gruppo alquanto “vivace” e pesava anche il confronto con il suo predecessore che talvolta qualcuno, ingenerosamente, faceva notare al Maestro. Ebbe momenti molto difficili e più volte fu tentato seriamente di mettere fine all’esperienza. Una certa “intellighenzia” musicale persicetana lo accusava di essere un dilettante, di non essere all’altezza, ma aveva la totale fiducia di Don Enrico e il pieno appoggio dei genitori.
Talvolta si trovava a dover fronteggiare le aperte contestazioni di alcuni fra i cantori “anziani” riguardanti le scelte di repertorio (aveva a poco a poco introdotto molti canti moderni di grande effetto ma di difficilissima esecuzione) e questo fu causa di molte amarezze che il maestro dovette subire nel rapporto con alcuni cantori. Tuttavia fin dall’inizio mise sempre in chiaro che il Direttore era lui, tenne sempre duro e sulle scelte artistiche non cedette d’un millimetro.
Poco alla volta si instaurò un bel rapporto con i cantori, c’era sempre un gruppo che lo andava a prendere in stazione, all’arrivo del treno, e un altro che lo “scortava” al termine delle prove fino alla stazione. Tutti vivevano la magica sensazione di far parte di un gruppo davvero speciale, l’orgoglio di essere “Ragazzi Cantori”. Già… il coro aveva cambiato nome. La modestia e l’umiltà di Paterlini ritenevano l’appellativo “Sangerknaben” troppo impegnativo. Fu lui a coniare la nuova denominazione: “i Ragazzi Cantori di San Giovanni”. A poco a poco la tenacia del Maestro Paterlini cominciò a portare i suoi frutti: nel 1980, l’ammissione alla Rassegna Internazionale di Loreto segnò una pietra miliare per la maturità artistica del gruppo e poco alla volta l’attività concertistica iniziò ad affiancarsi all’impegno nel servizio liturgico
Nel 1981 al Concorso Internazionale “Guido D’Arezzo” il coro ottenne un prestigioso Premio Speciale per il canto gregoriano.
Seguirono altri concorsi e rassegne:
- nel 1983 Paterlini portò il coro alla prestigiosa Rassegna Internazionale di Montreux in Svizzera;
- nel 1984 la prima grande affermazione: 1° Premio al concorso di Vallecorsa;
- seguirono altri piazzamenti più che onorevoli a Stresa e Vittorio Veneto.
La peculiarità del coro era di essere uno dei pochi formato da sole voci maschili, con un repertorio ricercato e con una particolare attenzione alla produzione moderna e contemporanea.
Ma i tempi cambiavano rapidamente e si stava avvicinando un altro momento decisivo per le sorti del coro dei Ragazzi Cantori: fu nel 1987 quando la difficoltà di reperire nuove voci bianche e l’abbandono di numerosi coristi portarono il coro sull’orlo della chiusura. Era il momento di riconsiderare l’essenza del coro e di prendere decisioni importanti. Dopo numerose riunioni e discussioni il Maestro prese la decisione (non da tutti condivisa) di allargare l’organico alle voci femminili. Dopo un necessario periodo di “rodaggio” la nuova formazione si presentò ufficialmente al pubblico nel corso del tradizionale “Concerto di San Giovanni” il 24 Giugno 1988. Superate le inevitabili diffidenze, il Maestro ritrovava la piena fiducia del suo gruppo e poteva finalmente guardare avanti con una certa tranquillità.
Gli anni 90 furono densi di impegni e di grandi soddisfazioni: nel 1992 una nuova trasferta a Montreux con un giudizio più che lusinghiero da parte della commissione artistica, nel 1995 altro Primo Premio assoluto a Vallecorsa con in aggiunta un premio speciale per l’interpretazione della musica rinascimentale; altre rassegne e concerti in tutta Italia… fino a culminare nel 2000 con il Primo Premio al concorso per cori liturgici dell’Emilia Romagna. Paterlini ottenne anche un riconoscimento come compositore, vincendo la selezione indetta dalla diocesi di Bologna per la composizione dell’inno ufficiale del Congresso Eucaristico Nazionale di Bologna del 1997. Il suo canto eucaristico “Gesù Signore”, su testo del Cardinale Giacomo Biffi, è tuttora eseguito nelle liturgie di molte parti d’Italia.
In tutta questa attività il Maestro si rivelava un instancabile punto di riferimento e di stimolo per i suoi “Ragazzi” che aumentavano anno dopo anno l’età media mantenendo però grande freschezza ed incrollabile entusiasmo. Uno dei suoi meriti più grandi rimane quello di aver mantenuto sempre prioritario l’impegno e la connotazione liturgica del coro. Tutte le domeniche e festività dell’anno il coro cantava (e canta tuttora) alla Messa delle ore 10. Non trascurava nemmeno la formazione spirituale dei suoi Cantori: aveva cura che due/tre volte all’anno il coro partecipasse a un ritiro per prepararsi ai “tempi forti” e volle inserire alla prova del sabato un momento di riflessione (curato a turno dai cantori) con la lettura del Vangelo della domenica seguente.
La mole di lavoro di Paterlini era davvero incredibile: prove 4/5 volte la settimana, la messa tutte le domeniche, e lui sempre avanti indietro in treno e nelle mattine libere alla Biblioteca del Conservatorio a studiare, sfogliare partiture, fotocopiare vagonate di musica. Il numero dei canti in repertorio cresceva vertiginosamente: dopo la polifonia classica si passò al periodo dei canti a otto poi dodici voci, poi al canto moderno e contemporaneo… nel 2005, quando il Maestro si congedò, il repertorio era arrivato a quota 450 titoli!
Di corsa, sempre di corsa, il Maestro. Su e giù per il viale della stazione e poi il passaggio per Corso Italia fino ad arrivare in sala prove. Girava una battuta tra i cantori a quei tempi, cioè che i negozianti lungo il Corso non regolavano più l’orologio con il segnale orario ma al passare del Maestro, giorno dopo giorno…
Da questo punto di vista il Maestro Paterlini poté tirare un sospiro di sollievo (per così dire) quando andò in pensione e nel 1992 si stabilì con la famiglia a San Giovanni in Persiceto. Diventò così pienamente “uno di noi”, un persicetano che con la sua vecchia e arrugginita Graziella faceva quasi ogni giorno la spola tra casa, sala prove e Chiesa parrocchiale. Già, proprio in Chiesa Paterlini trascorreva molto tempo: era persona di grande fede, spesso partecipava alle messe feriali e non mancava di trattenersi a lungo davanti all’altare del Santissimo per (immaginiamo) pensare al suo gruppo e alla sua attività, per chiedere la forza di adempiere il proprio compito sempre al meglio.
Nel 2004 cominciò ad accusare qualche malessere: stanchezza, mal di schiena… Si pensò all’età non più giovanissima, alla frenetica attività di tutti gli anni precedenti e gli fu consigliato di moderare l’impegno e la fatica. In ogni caso le sue condizioni fisiche non migliorarono; nel novembre 2004 il coro effettuò una memorabile trasferta a Londra per alcuni concerti e il Maestro ne uscì davvero molto affaticato e provato. Tuttavia con incredibile caparbietà e determinazione Paterlini riuscì a preparare e dirigere il tradizionale Concerto di San Giovanni il 24 Giugno 2005. Fu l’ultima volta che diresse i suoi amatissimi “Ragazzi Cantori”.
Tutti lo aspettavano alla ripresa di settembre ma il Maestro… non si presentò all’appello. Ancora gli esami clinici non erano riusciti a stabilire l’esatta natura del suo malessere, ma di fatto non era in grado di riprendere il lavoro di preparazione.
Proprio in quel periodo tanto sofferto quanto incerto il Maestro ottenne una nuova grande soddisfazione: il Consiglio Comunale di San Giovanni in Persiceto assegnò al Maestro e al coro dei Ragazzi Cantori, un encomio solenne “per l’opera di divulgazione musicale in Italia e all’estero” e per aver rappresentato splendidamente la cultura persicetana. Nel Settembre 2005 i Ragazzi Cantori si esibirono nella sala del Consiglio Comunale diretti dal loro organista, il maestro Marco Arlotti e il Maestro Paterlini, pur nella precarietà delle sue condizioni fisiche, riuscì ad essere presente e ricevette dalle mani del sindaco una targa ricordo e un unanime riconoscimento da parte di tutti i gruppi consiliari.
Agli inizi del 2006 gli esami clinici portarono il loro crudo responso: SLA (sclerosi laterale amiotrofica), una malattia terribile… Paterlini affrontò questa prova sorretto dalla sua fede, non mancando di scherzarci sopra: diceva: “era ora che anch’io diventassi famoso” alludendo al fatto che di questa malattia si parla solo quando colpisce famosi personaggi del mondo dello sport e del calcio in particolare…
La sua grande fede, l’amore e la dedizione dei suoi familiari lo hanno sostenuto in ogni momento. Oramai immobile sulla sedia a rotelle passava il tempo tra la lettura del breviario e la recita di vari rosari quotidiani.
Ha vissuto gli anni della malattia senza mai lamentarsi, la sua vita “attiva” si spegneva a poco a poco, trasformandosi sempre più in umile preghiera. Una volta mi confidò un suo pensiero che suonava pressappoco così: “Nella mia vita ho sempre corso da una parte all’altra ho fatto tante tantissime cose senza mai fermarmi, ora è come se il Padre Celeste mi dicesse: caro Maestro fermati, è ora di dedicarmi un po’ di tempo…” e concludeva con l’immancabile “davvero non posso lamentarmi…”
E così Paterlini offriva tutte le sue sofferenze per il gruppo dei suoi amati Ragazzi Cantori (che dopo un iniziale periodo di sbandamento continuavano il cammino sotto la guida “provvisoria” del loro organista).
Ma che persona era Paterlini? Come aveva fatto a conquistarsi l’affetto e la stima di tanti giovani? Quale era il suo segreto?
Il Maestro era una personalità carismatica, un trascinatore alla tenace ricerca del miglioramento, una guida dall’entusiasmo irrefrenabile, uno spirito talvolta inquieto e burrascoso. Non aveva paura di compiere scelte ardite dal punto di vista del repertorio, né di affrontare con entusiasmo sfide sempre nuove e affascinanti.
Era dotato di grande umorismo, geniale nella battuta e imbattibile nel gioco di parole.
Una persona di grande dirittura morale, credibilissimo nell’esigere il massimo dell’impegno ai suoi cantori in quanto era lui il primo ad impegnarsi con una generosità senza limiti.
Con il suo lavoro paziente il Maestro poco alla volta è riuscito a trasformare il coro dei Ragazzi Cantori: non solo in un gruppo di persone appassionate e volenterose ma in una vera famiglia. Il coro era la sua seconda famiglia, lo ripeteva spesso, il suo insegnamento a poco a poco si svelava in un misterioso rapporto tra le voci e le persone: e c’era la velata sensazione che la bella polifonia che riusciva ad ottenere non partisse solo da un lavoro sulle voci, ma anche dal rapporto “in armonia profonda” tra le persone.
Nei suoi trent’anni di direzione ha dato a centinaia di giovani l’opportunità di avvicinarsi alla bella musica, di imparare ad amarla, insegnando che canto e preghiera sono due cose inscindibili. Con il suo esempio e il suo amore, come un vero padre, ha fatto apprezzare i valori dell’amicizia, della collaborazione, del rispetto reciproco.
Dal settembre 2005 l’esperienza dei Ragazzi Cantori è continuata e il Maestro Paterlini è sempre rimasto vicino ai suoi “ Ragazzi” non facendo mai mancare consigli e incoraggiamenti. Gioiva del fatto che il coro continuasse l’attività. Dalla sua sterminata biblioteca ogni tanto usciva una partitura che ci raccomandava (con la massima delicatezza) di prendere in considerazione.
Nonostante il corpo l’avesse completamente abbandonato, la mente era vigile e il morale ancora alto. Non mancava di darci il suo parere quando si trattava di scegliere un programma di concerto o riguardo ad altre questioni che riguardavano la vita del Coro. Nell’ottobre 2010 quando il sottoscritto (che aveva oramai assunto in pianta stabile la direzione dei Ragazzi Cantori) pensò che fosse tornato, dopo 10 anni, il momento di mettere alla prova il coro iscrivendosi al Concorso Nazionale di Stresa, il Maestro ne fu entusiasta e la scelta (poi rivelatasi vincente) dei brani da presentare al concorso fu in buona parte dovuta al suo eccezionale consiglio.
Per il Concorso di Stresa ci preparammo nel migliore dei modi; sinceramente nessuno pensava ad una vittoria ma ci tenevamo a cantare bene per fare un bel regalo al Maestro.
Due giorni prima della partenza per Stresa, l’11 novembre 2010, Paterlini ebbe una crisi respiratoria, aggravata da un virus influenzale e venne ricoverato in rianimazione all’Ospedale Maggiore di Bologna. Lì lo raggiunse la notizia del nostro Primo Premio che dedicammo a lui durante la cerimonia di premiazione. Oramai allo stremo delle forze, il Maestro si commosse profondamente e negli ultimi giorni del suo calvario, tramite un avventuroso collegamento con apparecchio mp3 e relative cuffiette riuscì persino ad ascoltare la registrazione della nostra esibizione vincente.
Ma oramai il suo tempo era giunto al termine; credo che il Maestro in quei giorni abbia davvero sentito come “conclusa” la sua missione e si sia predisposto con spirito di fede all’incontro con il Padre Celeste. Leonida Paterlini si è spento nella mattinata di Domenica 26 Dicembre 2010. Quasi alla stessa ora i suoi Ragazzi Cantori, inconsapevoli del precipitare degli eventi, riunitisi perla Santa Messa intonavano uno dei canti prediletti del Maestro: il Sicut Cervus di Palestrina “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te o Dio. “Davvero il Maestro è salito al cielo accompagnato dalle voci dei suoi Ragazzi… e in cielo ha potuto riabbracciare gli altri “angeli custodi” che lo avevano preceduto, in particolare gli indimenticabili Vittorio Serra e Roberto Rossi.
È stato composto nella bara con indosso la divisa dei Ragazzi Cantori e in tasca il mitico “Cornelio”, il suo inseparabile diapason.
I funerali hanno avuto luogo mercoledì 29 dicembre 2010. Durante la messa esequiale i Ragazzi Cantori hanno eseguito l’ultimo grande dono del Maestro: un canto che insistentemente ci aveva raccomandato di preparare…
Le note sublimi del “Lux Aeterna” di E. Fissinger hanno squarciato il silenzio, hanno illuminato di speranza i cuori, hanno trasformato le lacrime del dolore e della commozione in un profondo ringraziamento per aver avuto il privilegio di conoscere e lavorare con una persona così “speciale”.
“In Paradisum deducant te Angeli”
Arrivederci Maestro… e grazie!
—Marco Arlotti, 2010